
L’acqua mi avvolge come una seconda pelle. All’inizio è un abbraccio freddo, pungente, ma poi diventa parte di me come se lo fosse sempre stato.Lascio che la mia forma si adatti: le membra si allungano, la pelle si ispessisce in squame traslucide, le palpebre si sdoppiano in membrane, e i polmoni smettono di cercare aria.Respiro acqua. Respiro silenzio.
La luce proveniente dalla grotta sfuma in penombra, poi in oscurità liquida. Le correnti accarezzano la mia pelle mutata con dita gelide, e ogni suono è ovattato, deformato.Sotto di me, il fondale scende come una bocca spalancata. Una spaccatura nella roccia si apre in un abisso che puzza di vecchio metallo e alghe marce.
Mi spingo oltre.
Il sonar mentale — non so come altro chiamarlo — capta una distorsione. Non è solo un cambiamento di pressione o di corrente. È qualcosa di... presente.Un battito, lento e costante, non mio. Qualcosa vive qui sotto. Qualcosa che non dovrebbe esistere.
Mi muovo più in profondità, tra le rocce annerite e le formazioni coralline contorte. Poi, vedo i resti.Una pinna spezzata. Un guanto da sub incastrato tra due rocce.E più in là, la carcassa di un drone da esplorazione, piegato come fosse stato stritolato.
Un rumore. Un sibilo acuto, troppo vicino.
Mi giro di scatto. L’acqua vibra.Ombre si muovono al limite della mia visione. Scie rapide, innaturali.
Poi, li vedo.
Non sono pesci. E non sono più umani. Ammesso che lo siano mai stati.Corpi lunghi e snodati, occhi pallidi e ciechi, mascelle disarticolate piene di denti.Pelle come pelle di rana morta.E si muovono come se danzassero al ritmo di una marea velenosa.
Uno mi punta. Balza.
Mi spingo di lato, mutando ancora. Le braccia diventano membrane. La coda si allunga. Nuoto come una creatura nata per questo. La forma in cui sono è stata una delle prime. Non ho conosciuto altro che acqua e una lotta forsennata per la sopravvivenza. A ripensarci con la consapevolezza di oggi, è stato terribile. Ma all’epoca ero troppo giovane ed ero passato in troppe poche vite per rendermene conto.
Mi mimetizzo. La pelle si adatta ai riflessi verdi e blu del fondale. Trattengo ogni movimento.
Il primo mi passa accanto. Il secondo... si ferma. Mi annusa, o almeno credo. Il terzo... guarda dritto dove sono. E comincia a emettere un suono. Basso, pulsante. Non è un richiamo. È un’allerta.
Mi muovo lento, invisibile come un pensiero che non vuole essere ricordato. La mia pelle riflette la luce come il fondale, i battiti si fanno silenziosi, le pupille si allargano fino a vedere l’invisibile.Nuotano in cerchio, guardinghi, come se stessero proteggendo qualcosa.Mi avvicino. E poi li vedo.
Galleggiano a pochi metri dal fondale, imprigionati tra le rocce come burattini dimenticati: i corpi dei ricercatori.Due sono ancora nelle tute da immersione, sventrate. Il terzo ha solo metà del viso. Il sangue si è disperso da tempo, ma l’orrore resta. Una delle mani stringe ancora una torcia spenta.
Riconosco il logo della Truesight sul petto di uno.Le loro missioni segrete. I loro esperimenti.Che diavolo cercavano qui sotto?
Un sibilo taglia l’acqua. Uno dei mutanti si gira. Sta guardando proprio dove sono. No. Sta guardando loro.
Si avvicina al corpo più vicino, allungando una lingua biforcuta, come per assaggiarlo.
Mi muovo. Lento. Calcolato.
Poi qualcosa scatta dentro di me. Un impulso antico, istintivo. Non posso restare a guardare.
Esco dalla mimetizzazione e la mia forma cambia di nuovo: le braccia si accorciano, le mani si allargano in artigli palmati, e l’energia si accumula sotto la pelle come un ruggito trattenuto.
Un mutante mi vede. Ma è troppo tardi.
L’elettricità esplode dal mio corpo come una frustata luminosa. L’acqua vibra, lo spazio si illumina.Colpisce in pieno il primo, che si contorce in un lampo di bolle e spasmi. L’acqua attorno a lui si colora appena di nero.
Un secondo mi punta, ma io sono già in movimento. Guizzo come un’anguilla gigante, lo aggiro e rilascio un’altra scarica, diretta e precisa.
Urla, o qualcosa che somiglia a un verso, attraversano il liquido. Non sono vocali, ma li sento dentro le ossa.
Due in meno.
Altri tre si avvicinano.
Mi ritraggo verso il buio, dove i riflessi non arrivano. Lascio che il mio corpo si spenga, che la pelle torni a fondersi con l’ambiente.Aspetto. Respiro acqua. Li sento avvicinarsi.
E poi, quando sono a distanza ravvicinata... colpisco.Un’esplosione elettrica a raggiera li investe, scagliandoli contro le rocce. Uno resta immobile. Gli altri si agitano, ma sembrano storditi.
Mi allontano, veloce. Non li voglio uccidere tutti. Non ancora. Prima voglio sapere cos’erano. Chi li ha creati.E perché i ricercatori sono finiti nelle loro fauci.
Riemergo in silenzio, lasciando che l’acqua scivoli via dalla mia pelle mutata. La grotta sembra immobile, ma io no. Il cuore mi pulsa ancora addosso, ritmando il ricordo dei mutanti e dei corpi dilaniati.
Risalgo sul ponte della barca. Lascio che le membra tornino umane, poco alla volta. Lo faccio spesso, ma c’è sempre un momento in cui mi chiedo: quanto di me è ancora mio?
Meglio non pensarci. I miei vestiti sono andati e rimedio un paio di pantaloni cachi con le tasche anche sulle gambe. Basteranno per il momento.
Mi inginocchio vicino alla console principale e comincio a osservare tutto con occhi diversi.Questa non è solo una barca da ricerca. La Truesight deve averci nascosto qualcosa.
Guardando con più attenzione noto che i cavi sono troppi. Alcuni collegamenti passano dietro le paratie. La radio accesa non era il vero sistema di comunicazione: era solo una facciata.
Con una lama ricavata dalla corazza che indosso, apro un pannello laterale sotto il banco strumenti.Un clic.Poi un sibilo.
Una piastra scivola via, rivelando una cavità profonda. All’interno, immerso in un bagno di gel conduttivo, c’è un nucleo dati compatto — un sistema chiamato Aletheia, un modulo di raccolta e analisi dati in tempo reale, progettato per analizzare mutazioni biologiche in ambienti estremi. Non mi stupisce che in greco significhi verità.Invisibile ai normali scanner, criptato su due livelli, alimentato da una batteria al plasma che potrebbe esplodere se maneggiata male.
«Bingo.»
Comincio a scollegare con cautela i conduttori. Serve precisione. Il contenuto della memoria interna potrebbe dirci cosa stavano cercando, e cosa hanno trovato.
Un rumore dietro di me. Passi.
Mi volto.Lilia è la prima a entrare nella grotta, seguita da Calipso, Savannah, Yaku ed Hermes.I loro occhi si muovono rapidi sulla scena. La barca, io inginocchiato su un pannello aperto, con i guanti sporchi di gel trasparente e fili sparsi ovunque.
«Che stai facendo?» domanda Lilia, guardandomi con attenzione. Ma sotto la voce c’è qualcos’altro. Preoccupazione.
«Sto recuperando la memoria centrale. Questa barca era della Truesight, ma non è quello che sembra. C’è un modulo Aletheia nascosto sotto il banco strumenti. Avanzatissimo. Ne ho visti solo nei centri classificati. Serve a monitorare mutazioni... in tempo reale.»
«Mutazioni?» ripete Savannah, aggrottando le sopracciglia.«Hai trovato i ricercatori?» chiede Yaku, già pronto a una risposta che non gli piacerà.
Li guardo uno per uno. Poi fisso Lilia.
«Sì. Ma erano morti. E non erano soli là sotto.»
Calipso si appoggia alla barca. «Che intendi?»
«Intendo che ho trovato dei mutanti acquatici. Abomini. Non animali, non umani. Qualcosa li ha trasformati. Qualcosa li ha fatti diventare così. E questa...» — indico il modulo ancora mezzo inserito — «...potrebbe dirci come. O perché.»
Hermes si inginocchia accanto a me e scruta il nucleo con interesse. «Vuoi una mano o preferisci fare l’eroe da solo?»
«Se vuoi rischiare di far esplodere tutto, accomodati.»
Lui sorride. «Adoro queste probabilità.»
Lilia si avvicina senza parlare. Con un gesto lento, sollevo il modulo. Ancora pochi cavi da scollegare.
«Incrociate le dita» sussurro.Poi affondo le pinze nell’ultimo innesto.
Un impulso.Secco. Invisibile.Una vibrazione improvvisa attraversa la barca, come se un’onda elettromagnetica avesse colpito lo scafo e si fosse propagata all’esterno.Leggera, ma inconfondibile.
Hermes si irrigidisce. «Avete sentito?»
Lilia lo guarda, accigliata. «Cosa?»
«Impulso di sicurezza,» mormora lui. Il tono è basso, controllato. Ma lo conosco troppo bene per non notare la tensione. «Hanno registrato la disattivazione. O l’hanno scatenata.»
Il modulo tra le mie mani emette un ultimo bip, quasi impercettibile. Poi si spegne del tutto. Ma l’eco di quel suono resta, come se qualcosa lo stesse ascoltando.
«C’è qualcuno che potrebbe aver ricevuto il segnale?» chiede Savannah.
Hermes si stringe nelle spalle, il volto più serio di quanto lo abbia mai visto.
«Non lo so. Ma se c’è, adesso sa dove siamo.»
«Cazzo» impreco a mezza bocca. «Mi dispiace.»
Lilia scuote il capo. «Non importa. Con questi strumenti sarebbe stato difficile per chiunque. Ora abbiamo la memoria e un mezzo per andarcene, penseremo al resto più tardi.»
«D’accordo. Scollego tutto, niente è tracciabile se non ha energia ad alimentarlo.» Mi passo le dita su un sopracciglio. «In teoria.»
«Fallo.» Lilia fa un cenno agli altri. «Spero che abbiate preso tutto, perché non resteremo qui un minuto di più.»
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