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CAPITOLO 18

Un boato improvviso mi strappa dal sonno. Non so cosa mi abbia svegliato, ma il pavimento sotto di me vibra, e un rumore sordo, come di metallo che si piega, attraversa la stanza. Scatto in piedi, il cuore che martella nel petto, e corro alla porta.

La apro di colpo e mi affaccio nel corridoio. L’aria è densa di un odore acre, come di fumo o bruciato, e le luci intermittenti creano ombre lungo le pareti.

«Lilia!» urlo, ma la mia voce si perde nel rumore crescente. Una sirena inizia a ululare, un suono che mi paralizza. Non è un semplice allarme: è un richiamo alla sopravvivenza.

Le porte delle stanze lungo il corridoio si aprono e altri iniziano a uscire. Mutanti, Velati, creature che non riesco nemmeno a identificare. Si muovono in massa, diretti verso l’estremità opposta della struttura. Sento qualcuno gridare istruzioni, ma non riesco a distinguere le parole.

Poi la vedo. Lilia esce dalla sua stanza con lo sguardo allarmato.

«Emanuele!» Corre verso di me, e quando ci raggiungiamo, la stringo per un istante.

«Stai bene?» chiedo, il respiro corto.

«Che diavolo sta succedendo?» domanda lei, mentre una scossa più forte ci fa barcollare entrambi.

Prima che possa rispondere, una figura si avvicina. È Yaku, ancora con la fasciatura sul polso. Mi guarda con disprezzo, ma non si rivolge a me.

«Non c’è tempo per parlare. Dobbiamo andare ai sottomarini di emergenza.»

Lilia lo fissa per un attimo, sorpresa, poi annuisce. «Dove?»

Yaku si limita a fare un cenno. «Seguitemi.» Non c’è traccia di esitazione nella sua voce.

Ci muoviamo in fretta lungo il corridoio, cercando di evitare gli altri. Le vibrazioni aumentano, e sento un rumore cupo sopra di noi. Un’altra esplosione, più vicina, scuote la struttura. Sta succedendo qualcosa di assurdo e la mia mente fatica a considerarlo davvero reale.

«Che cos’è?» Lilia tiene il passo al mio fianco. «Chi sta attaccando?»

Non ho una risposta, ma la voce che mi arriva da dietro è fin troppo familiare.

«Non ti preoccupare, tesoro. Non è la fine del mondo. Ancora.»

Mi volto di scatto. Hermes ci segue con il suo solito sorriso, fuori luogo come sempre.

«Che ci fai qui?» ringhio.

«Cosa credi? Sono venuto a salvarvi.» Alza le spalle e accelera il passo, superandoci. «O almeno, a godermi lo spettacolo.»

Yaku lo fulmina con lo sguardo. «Zitto e cammina.»

Hermes ridacchia, ma non dice altro.

Arriviamo a una stanza più grande, dove una serie di piccoli sottomarini di emergenza è allineata a filo d’acqua. Le luci rosse intermittenti illuminano appena l’ambiente foderato di metallo. Ci sono almeno una cinquantina di persone in preda al panico. I posti sono limitati e non sono certo che basteranno per tutti.

E poi la vedo: Savannah. È appoggiata a una parete, le braccia incrociate e lo sguardo che brilla di una luce violacea. Non sembra preoccupata. Quando ci nota, si avvicina con un passo lento, quasi teatrale.

«Finalmente. Pensavo che non sareste mai arrivati.» La sua voce è sarcastica, ma il tono non nasconde una certa urgenza.

Hermes le sorride. «Savannah, tesoro. Come sempre, la regina del dramma.»

Lei lo ignora, fissandomi con i suoi occhi violacei. «Allora, chi di voi sa pilotare uno di quei cosi?»

Savannah si avvicina, zoppicando. Una macchia di sangue scuro si allarga sulla fasciatura che le avvolge il fianco sinistro, e il suo viso pallido ha un’espressione che oscilla tra il dolore e la sfida.

«Allora, geniali eroi...» dice, facendo una smorfia mentre si appoggia al bordo di un sottomarino. «Qualcuno di voi sa come si guidano queste cose?»

Mi guardo intorno. Le persone intorno a noi si stanno precipitando nei sottomarini, ognuno cercando di guadagnarsi un posto. Non c’è nessuno che sembri preoccuparsi di noi, e ancora meno che sembri sapere cosa fare. Yaku stringe i denti e scuote la testa.

«Nessuno ha mai avuto bisogno di usarli» ammette, «ma non abbiamo scelta.»

Hermes alza un sopracciglio e lancia un’occhiata a Savannah. «Non dirmi che nemmeno la tua altezza reale sa pilotare una scatoletta come questa.»

Savannah risponde con un sorriso stanco ma velenoso. «Non so nemmeno se ho le forze per salire a bordo, ma tu fai pure battute. Sono sicura che ci salveranno tutti.»

Un’altra scossa fa tremare il pavimento, e un pannello di metallo cade dal soffitto, frantumandosi con un clangore assordante. Lilia si guarda intorno, il respiro affannoso. «Dobbiamo entrare in uno di questi sottomarini. Subito.»

Tutti annuiamo, ma quando iniziamo a muoverci, Lilia si blocca di colpo. «Calipso.»

Il suo nome cade come una pietra nell’aria. Mi volto verso di lei, dubbioso.

«Cosa?»

«Non la vedo da nessuna parte» dice con fermezza. «Non importa chi sia o cosa abbia fatto. Non può morire qui dentro.»

«Non sappiamo nemmeno dove sia» Allargo le braccia, esasperato.

Lei è irremovibile. «Non importa. Io vado a cercarla.»

«Aspetta!» Le afferro il braccio, ma lei si libera con un movimento rapido. Nei suoi occhi vedo una determinazione che non lascia spazio a discussioni. «Se vuoi venire, bene. Altrimenti, vai pure avanti senza di me.»

Hermes sorride, quasi divertito. «Che eroica follia. Mi piace.»

«Non è una follia» ribatte Lilia, con un gesto brusco della mano. «È l’unica cosa giusta da fare.»

Guardo gli altri. Yaku sembra sul punto di dire qualcosa, ma poi si limita a stringere i pugni, mentre Savannah si accascia contro il bordo del sottomarino, troppo esausta per discutere.

«D’accordo» dico alla fine. «Ma non possiamo perderci. Dieci minuti, non di più.»

Lilia annuisce e ci inoltriamo nel caos della base.

Avanziamo con difficoltà, tra il panico che sembra crescere di secondo in secondo. Il pavimento trema sotto i nostri piedi, e il suono di metallo che si piega e si spezza riempie l’aria, mescolandosi con il rumore sordo dell’acqua che penetra nella struttura.

Le luci intermittenti rendono tutto più difficile. A volte, il corridoio davanti a noi è illuminato da un lampo rosso, altre volte è avvolto dall’oscurità. Ogni tanto, sento il suono distante di qualcosa che crolla e impazzisco al pensiero che possa accaderle qualcosa.

«Dove potrebbe essere?» chiede Lilia, il suo respiro corto mentre si guarda intorno con occhi spalancati.

«Probabilmente si è attardata per capire cosa stava succedendo,» dico, spingendomi avanti. «Non è il tipo che abbandona la nave senza sapere perché sta affondando.»

Giriamo un angolo e ci ritroviamo davanti a una scena che mi lascia senza fiato. Una sezione del corridoio è completamente crollata. Grandi pannelli di metallo e cemento sono ammassati al centro, e l’acqua sgorga attraverso una crepa nel soffitto, formando una cascata che si riversa sul pavimento. L’aria è più fredda qui, e l’umidità mi appiccica i capelli alla fronte.

«Calipso!» Lilia urla il suo nome, la voce carica di ansia.

Nessuna risposta.

Avanziamo tra l’acqua che continua a salire, il freddo che mi morde le gambe e il suono incessante delle strutture che cedono. Quando vediamo la mano di Calipso spuntare dalle macerie, sento Lilia trattenere il respiro.

«Lì! È lei!» urla e senza aspettare una mia risposta, si avvicina di corsa.

Mi inginocchio accanto a lei e vedo Calipso, priva di sensi, incastrata sotto un grosso trave metallico. La sua testa è piegata da un lato, i capelli intrisi di sangue. L’acqua le lambisce già il viso, e non c’è tempo da perdere.

Provo a sollevare il trave con tutta la mia forza, ma è impossibile.

«È troppo pesante!» La frustrazione che mi brucia la gola. «Non ce la faremo così.»

Lilia si gira verso di me, gli occhi pieni di terrore. «Non possiamo lasciarla qui. Tu puoi farlo.»

Respiro, una, due volte. So che non ho altra scelta.

«Stai indietro» dico con un tono più calmo di quanto mi senta.

Lei si inumidisce le labbra, incerta, ma fa come le dico.

Mi concentro, lasciando che la mutazione prenda il sopravvento. Il mio corpo inizia a cambiare, i muscoli si deformano, le ossa si spezzano e si ricompongono in nuove strutture. La mia pelle diventa grigia, spessa e scagliosa, mentre le mani si trasformano in artigli poderosi. Mi piego su quattro zampe, il collo che si allunga, e mi ritrovo nella forma di una creatura simile a un drago marino, con braccia robuste e una coda che sfiora l’acqua. Non sono umano, e in momenti come questo lo sento in ogni fibra del mio essere.

Lilia mi fissa con un misto di orrore e ammirazione. «Mio dio...»

Non rispondo e comunque non potrei farlo. Non c’è tempo per spiegazioni. Afferro il trave con gli artigli e lo sollevo con tutta la forza che riesco a radunare. Il peso è immenso, ma questa forma è abbastanza forte per resistere.

Ruggisco, la mia voce gutturale.

Lilia si precipita e tira fuori Calipso, lottando contro l’acqua che continua a salire. Non appena sono sicuro che siano entrambe al sicuro, lascio andare il trave, che cade con un boato sordo.

Torno alla mia forma umana, e le mie gambe cedono per un istante. Lilia mi afferra per un braccio.

«Ce l’hai fatta» dice, con un tono che sembra incredulo oppure… nauseato.

Evito il suo sguardo e osservo Calipso. È priva di sensi, ma respira ancora, anche se debolmente.

«Portiamola via» dico, prendendola in braccio.

«Andiamo.» Lilia serra le labbra.

Mi precede, facendosi strada tra l’acqua sempre più alta. Ogni passo è una guerra contro il tempo.

Le pareti della base sembrano sul punto di cedere, e l’aria è satura di fumo e umidità. L’acqua ora arriva quasi alle ginocchia, e il suono di esplosioni lontane continua a far tremare il pavimento sotto i nostri piedi.

«Torniamo ai sottomarini, in fretta» dico, mentre mi volto verso Lilia.

Lei annuisce, gli occhi fissi sul corridoio allagato.

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