
Capitolo 5
Per il ritorno aveva dovuto fare una deviazione per cibarsi di sangue umano. L’alternativa era rischiare di indebolirsi al punto da non riuscire più a procurarsi una vittima, quindi, aveva scelto un vecchio contadino e lo aveva dissanguato nel sonno. Disfarsi del cadavere era stato facile: lo aveva scaraventato giù da un dirupo, affidando agli animali il resto.
Ogni volta che uccideva per sopravvivere, si detestava. Era un parassita, anzi peggio. Almeno quello aveva un ciclo vitale in armonia con la terra. Lei, invece, era così sbagliata che non sarebbe nemmeno dovuta esistere. Aveva pensato più volte di lasciarsi morire di fame, oppure, di farsi carbonizzare dalla luce del sole. Ma non c’era mai riuscita. Si attaccava quell'unico barlume di esistenza che le restava con disperata avidità ed era quel vano istinto di conservazione che le faceva odiare se stessa più di ogni altra cosa. Una non-vita senza speranza, questa era stata la sua esistenza da quando era stata infettata. Fino a quella nascita miracolosa, un evento che aveva risvegliato in lei molte più emozioni di quanto fosse disposta ad ammettere.
Arrivò a Roma a notte fonda e proseguì verso i Musei Vaticani. Si arrampicò fino a una finestra dei piani adibiti a uffici e guardò dentro. I locali erano tutti sorvegliati da guardie in divisa. Dovette usare parte del suo tempo per studiarne le ronde, fino a che non fu in grado di accedere alle sale interne. I suoi passi risuonarono appena sul pavimento di marmo lucido. Osservò le indicazioni: era nella parte più importante dei Musei, da cui si accedeva alla Biblioteca e poi alla sezione Manoscritti.
Non era mai stata incline a pensieri religiosi, ma doveva ammettere che quel luogo sembrava fatto per inspirarne. Il soffitto era decorato con affreschi sacri e i marmi variopinti che formavano disegni intricati sulle pareti rappresentavano una fra le più alte espressioni dell'arte umana. Nella penombra, l'ambiente possedeva qualcosa che ispirava il pudico raccoglimento e la silente penitenza tipica dei luoghi sacri.
Per raggiungere la biblioteca, doveva superare due blocchi di tornelli metallici. C’erano delle telecamere agli angoli del corridoio ma, se si fosse mossa con sufficiente velocità, avrebbe avuto buone possibilità di entrare e uscire senza rischiare troppo.
Stando alle indicazioni, la Sala dei Manoscritti doveva essere di fronte a lei, oltre la porta di legno massiccio che si intravedeva alla fine del corridoio. Si diresse in quella direzione e ne esaminò la serratura. Si aspettava che fosse chiusa a chiave, invece, tutto quello che dovette fare per entrare fu spingere.
Ruotò su se stessa, mentre avanzava nel salone, osservando l'enorme quantità di conoscenza racchiusa in quelle mura. C’erano libri a migliaia, disposti con ordine sugli scaffali alti fino al soffitto. Alcuni erano protetti da vetri dall'aria robusta e da grate metalliche. Il problema sarebbe stato quello di trovare il Sarim-Dub in quel pagliaio.
Si avvicinò a uno dei computer degli archivisti. Lo accese e digitò il nome, ma la schermata non le restituì alcun risultato. Stava per riprovare, ma una voce alle sue spalle glielo impedì.
«Che stai cercando?»
Estrasse le zanne, ma non fece in tempo a muoversi. Una mano le premette sulla gola, schiacciandola contro il marmo della parete alle sue spalle. Di fronte a lei si ritrovò un volto che non avrebbe mai potuto dimenticare, la cui vista era più dolorosa di qualunque ferita avesse potuto infliggerle.
« Marcus, tu...» fece per dire, ma lui la zittì, prendendosi le sue labbra.
Antonia sentì la sua mano scivolarle su fianchi in una lunga carezza e la mente le sfuggì. Gli strinse i lunghi capelli fra le mani e affondò la lingua nella sua bocca, mentre i loro corpi premevano l'uno contro l'altro, impedendole di respirare.
Era un bacio folle, disperato, un bacio che aveva vissuto nei suoi incubi peggiori, ma anche negli unici momenti per cui era valsa la pena nascere. Ancora una volta le strappò l’anima e lei non riuscì a sopportarlo, non più. Sfuggì alla sua stretta e lo colpì al volto con tutta la forza che riuscì a recuperare.
«Non devi toccarmi» ansimò puntandogli un dito contro. «Mai più.»
Lui indietreggiò, piegando il volto da un lato.
Indossava la veste nera con la fascia rossa in vita da cardinale e sul petto gli scendeva una croce d'oro. Tuttavia, non aveva nemmeno lontanamente l'aria di un uomo di Chiesa. Alto e moro, due occhi neri dai profondi riflessi dorati su un naso dritto e una bocca definita a cui Antonia aveva ceduto troppe volte. La stessa che l'aveva resa quella che era e che credeva di aver dimenticato. Invece, era lì di fronte a lei, minacciando di riportarla a quel passato che, per tre secoli, aveva tentato di seppellire.
«Mi chiedevo quando saresti arrivata fino a qui» esordì Marcus col suo morbido accento arabo.
In realtà, si chiamava Amir, ma aveva sempre preferito usare il suo nome latino.
«Come fai a essere ancora vivo?»
«Solo a te avrei permesso di uccidermi. Ma non l’hai fatto.»
Antonia si morse il labbro fino a tagliarlo, mentre i ricordi le annebbiavano la vista. Tornò nel passato, persa, terrorizzata nella sua pozza di sangue. Lui l'aveva trasformata senza alcun permesso, perché non aveva ricevuto la sua sentenza?
«Devi dirmelo, perché la Recuperatrice non ti ha dato la vera morte?» insistette allontanando quel ricordo.
Marcus accennò una risata. «Ci ha provato, ma con risultati molto scarsi. In ogni caso, non è il momento di parlarne.»
Antonia strinse i pugni. «Sei un maledetto.»
Lui mosse qualche passo nella stanza prima di parlare di nuovo. Antonia non riusciva a rendersi conto fino in fondo di averlo ritrovato. Era uno spettro, un incubo, una condanna.
«Mi dispiace per quello che è successo a tua figlia, Antonia »
Quel riferimento minacciò di farla impazzire. «Tu… Non devi nemmeno nominarla!»
Marcus si fermò e la guardò negli occhi. «Non posso tornare indietro. Nessuno di noi due può cambiare le cose.»
Lei si passò una mano sulle palpebre e scosse la testa. Non poteva andare avanti così o rischiava di perdere quel poco di ragione che le era rimasta.
«Hai ragione, Marcus. Non è il momento di parlarne. Anzi, non lo sarà mai.»
Il dingir fece scivolare la croce d’oro fra le dita. Antonia distolse lo sguardo da lui con la speranza di calmare la tempesta che stava sferzando la sua mente. Era lì per un altro motivo, solo quello contava.
«Ho avuto uno scontro con alcuni preti, ma erano ben lontani dall’essere umani comuni. È opera tua?»
«Sono stato costretto a violare qualche regola» ammise Marcus incrociando le braccia.
Antonia accennò una risata amara. «Non mi stupisce, ma non hai risposto alla mia domanda.»
Marcus inclinò il capo e assottigliò lo sguardo. «Sì, è opera mia. Ho consentito loro di bere il mio sangue.»
Antonia allargò le braccia. «Li hai resi degli Assetati. Tu non hai alcuna morale, ma questo lo sappiamo entrambi.»
Il sangue di dingir, sugli umani, aveva l'effetto temporaneo di stimolare alcune caratteristiche proprie del vampirismo, come la velocità, la forza e, in casi di assunzione prolungata, persino la sete di sangue. Ma la dipendenza che ne conseguiva poteva portare alla follia.
Durante il Medioevo, era una pratica comune soprattutto fra i dingir maschi. Consentivano alle loro amanti umane di bere da loro fino a che loro iniziavano a non desiderare altro. A lungo andare, questa pratica aveva assunto proporzioni così imponenti che era stato necessario vietarla. L'Inquisizione era stata utile sia ai preti che ai dingir per rimediare a questo problema. Sui roghi morirono molte Assetate, con ovvio benestare della Chiesa.
Marcus scrollò le spalle. «È stata una loro scelta. Si sono sacrificati per un fine più alto. Come sempre, no?»
«Lasciami indovinare, Marcus. Suppongo che il fine più alto a cui ti riferisci coincida con i tuoi scopi personali.»
Il dingir piegò un angolo della bocca, divertito. «Credo che tu abbia una visione del tutto parziale delle cose.»
Antonia represse l’istinto di attaccarlo e iniziò ad aggirarsi nella stanza, come una fiera in gabbia. Era finita in una stupida trappola.
«Tu mi hai fatto mandare qui dal Veggente. Quel maledetto pazzo eremita, avrei dovuto staccargli la testa dal collo.»
Marcus scosse la testa. «Avevo anticipato a Rodrigo il tuo arrivo ma, se sei qui, ha fatto l’opposto di quello che gli avevo chiesto. Avresti dovuto andartene, metterti in salvo.»
Antonia si fermò davanti a lui con i pugni chiusi e il corpo teso. «Da quando ti interessa salvare la vita a me? E, soprattutto, quale dannata vita?»
Marcus le si avvicinò e l'afferrò per le spalle.
La sua espressione si fece seria. «Ascoltami, le cose stanno cambiando. Si stanno muovendo forze più grandi di me e di te. Se non mi consenti di proteggerti, non avrai alcuna possibilità di sopravvivere.»
Antonia indietreggiò, liberandosi dalle sue mani. «Ma che stai dicendo? Le matrone di Milano e di Palermo saranno già venute a sapere quello che è successo al Conservarium. Non la passerete liscia.»
Marcus scosse la testa. «Non esiste più alcuna matrona. Da nessuna parte sulla Terra.»
Antonia non riusciva a crederci. Il mondo vorticò intorno a lei e cercò il contatto con il muro alle sue spalle.
«Ma che cosa... Che significa?» mormorò a fior di labbra.
«Ora tu sei molto importante, ma non solo per me. Devi fidarti o non riuscirò a proteggerti.»
Antonia si passò le dita fra i capelli, mentre la sua mente girava a vuoto. Se quello che Marcus stava dicendo era vero, la situazione era davvero troppo grande per lei.
«Immagino che sapessi che la ragazza avrebbe partorito una femmina viva. Com’è stato possibile?» gli domandò.
Marcus accennò alle telecamere sul soffitto. «Meglio non parlarne qui, ma sappi che la bambina è in buone mani, per il momento.»
«Nelle tue mani, immagino.»
«Non esattamente, ma non devi temere per lei. Non ancora almeno.»
Antonia si sentiva in un vicolo cieco, di nuovo dipendente da lui. Forse in passato avrebbe persino gioito di quella situazione, ma ora non poteva sopportarlo.
Estrasse le zanne. «Dimmi dov’è o giuro che finirò quello che la Recuperatrice non ha fatto a suo tempo.»
A quelle parole, Marcus si avventò su di lei a una velocità tale che la colse impreparata. Le afferrò i polsi e la spinse di nuovo contro il freddo muro di marmo. Antonia tentò di liberarsi, ma senza successo. Marcus era più forte e più veloce di qualsiasi maschio dingir.
«Quando la smetterai di cercare il modo di farti uccidere?» sibilò lui, con il suo volto a pochi centimetri da quello di Antonia.
«Io sono già morta» replicò lei con disprezzo. «Grazie a te.»
«Darei la mia vita in questo momento, pur di tornare indietro. Ma non posso.»
La voce profonda e i tratti del suo volto così vicini, dotati di quella bellezza senza tempo, la destabilizzarono. Un brivido le corse lungo la schiena: specchio di quel desiderio colmo di peccato e senso di colpa che le aveva distrutto l'esistenza. In lui c’era ancora lo sguardo di un tempo lontano, quando Antonia era solo una giovane nobildonna innamorata di un mercenario arabo.
«Non credo a una parola di quello che dici, Marcus.»
Lui la lasciò andare. «Potrai darmi la vera morte, ma solo una volta che avrò portato a termine il mio compito. Fino a quel momento, ho bisogno che tu stia nascosta fino a quando te lo dirò io. Va’ al castello e aspettami lì.»
Si riferiva a un'antica costruzione sulle rive del Lago di Bracciano. Era il luogo dove l’aveva incontrato la prima volta. La novità era che, stavolta, non aveva la minima intenzione di obbedire ai suoi ordini.
«Dimmi dov’è il Sarim-Dub» gli disse, invece.
Marcus sollevò le labbra sulle zanne affilate. «Rodrigo non avrebbe dovuto parlartene, stupido vecchio.»
«Dimmi dov'è.»
«Trovare il Sarim-Dub non ti servirà a niente.»
«Questo fallo decidere a me.»
Il fatto che lui fosse reticente le confermava che quella era la strada giusta e aveva tutta l'intenzione di percorrerla.
«Ora basta» tagliò corto Marcus, indurendo il tono. «Ti ho detto quello che avevo da dirti. La scelta sta a te. Se non farai come ti dico, non hai speranza di sopravvivere.»
«Sai qual è la novità?» gli sibilò, dritto in faccia. «Che tu ora vai a farti fottere.»
Si voltò e se ne andò. Avrebbe voluto lasciarsi alle spalle il passato con la stessa facilità, ma sapeva che, forse, quel momento non sarebbe mai arrivato.
Una volta fuori dalla biblioteca, iniziò a correre e non si fermò finché non raggiunse la periferia della città. Voleva solo mettere più distanza possibile fra lei e Marcus. Avrebbe continuato a correre per ore, se avesse saputo dove andare.
Ripensò a Luna. La bambina era in buone mani, per il momento. Che significava? Qualcuno stava per nuocerle? Per quale motivo darsi tanto affanno per poi farle del male?
Quelle e altre domande senza risposta le affollavano la mente. L'unico indizio che aveva era il Sarim-Dub. Il Veggente aveva nominato la città di Ur, dove sarebbe stato ritrovato il testo antico, o il British Museum da dove il reperto sarebbe stato rubato.
Prima di avventurarsi nella ricerca, doveva raccogliere il maggior numero d’informazioni possibile: l'ultima cosa che voleva era incappare in qualche cacciatore di dingir o in un'altra trappola. Rifletté sulle possibilità che aveva: accettare la protezione di Marcus era fuori discussione; poteva tornare da Rodrigo, ma le avrebbe solo fatto perdere troppo tempo e non era detto che sarebbe stato risolutivo.
Stavolta avrebbe usato altri metodi. Dopotutto, il ventunesimo secolo offriva possibilità interessanti, la migliore delle quali era la rete internet. Forse, tra un mare d'idiozie, avrebbe potuto trovare un punto da cui partire. Ma non subito.
Alzò lo sguardo verso il cielo. Era quasi l'alba e Doveva trovare un luogo in cui poter, ancora una volta, morire fino alla prossima notte.